6.2.10

V Domenica tempo ordinario - ANNO C

Domenica 7 febbraio 2010

Is 6,1-2.3-8 Eccomi, manda me!
Salmo 137 Rit.: Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria
1 Cor 15,1-11 Così predichiamo e così avete creduto
Lc 5,1-11 Lasciarono tutto e lo seguirono


1. Seguire Gesù
Il Vangelo continua a proporci, in queste prime domeniche dell'anno liturgico, il tema della sequela di Gesù, mostrandoci quale sia il modo giusto per accoglierlo e seguirlo.
In questa V domenica ci viene presentata la figura di coloro che, non a caso, diventeranno i discepoli di Gesù. La storia della loro chiamata, di Pietro in particolare, appare in forte antitesi con l'atteggiamento dei nazareni, nell'episodio della scorsa domenica.
Pietro è rimasto fuori, tutta la notte, e non ha pescato nulla. Forse in questi tempi di crisi ci è più facile immaginare la frustrazione, la preoccupazione, la tristezza: pensiamo a chi apre i negozi e per tutto il giorno non vede un cliente, o alle fabbriche dove non arrivano ordini ...
Egli sta riassettando le reti: possiamo anche qui immaginare la stanchezza, che accompagna l'ultima operazione prima di potersi finalmente riposare, e magari anche la voglia di lasciarsi alle spalle una giornata nera per pensare e sperare in quella successiva.

2. Una piccola grande richiesta
In questo contesto si avvicina Gesù, con la richiesta di usare per un po' la barca, richesta che, in assoluto, è forse modesta, ma che, rivolta in quel momento, si presenta come faticosissima, sia fisicamente che psicologicamente.
Quanti di noi, in quel momento, avrebbero acconsentito? O non ci si sarebbe sentiti in diritto, anche davanti a Dio, di "pensare un po' a me stesso, che già ho avuto una giornata dura?"
Pietro, invece, generosamente acconsente.
Vediamo già la fede: si mette a servizio di Gesù, senza sperarne nulla. Quanta differenza coi Nazareni, che invece ritenevano di avere dei diritti su di Lui!

3. La gloria di Dio
E Gesù, da parte sua, decide di fargli il miracolo.
Esso, ancora, presuppone la fede; la frase di Pietro ci fa comprendere che il primo fra gli Apostoli non si è limitato a "dare un passaggio" al Maestro, ma ha anche ascoltato le sue parole, e si è reso conto che sono diverse da quelle di tutti gli altri:

«Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti»
Il miracolo è grande, enorme, ma soprattutto viene accolto nel suo giusto senso. Se i Nazareni pensavano solo al vantaggio che potevano trarne, per se stessi, l'atteggiamento di fede porta Pietro a disinteressarsi dell'effetto del miracolo (tanto è vero che alla fine lascia tutto, nave, reti e pescato), ed a focalizzarsi sulla potenza di Colui che lo opera. Il miracolo è strumento per rendersi conto della potenza di Gesù: la conseguenza di questa contemplazione è il riconoscimento della propria miseria ed indegnità, ed anche lo stupore infinito per l'intervento divino proprio in tale miseria.
La Prima Lettura bene esprime questo movimento: alla contemplazione della gloria infinita di Dio, fa' subito riscontro la lamentazione del profeta ed, al tempo stesso, il suo stupore.
«Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».
Davanti al pentimento ed alla confessione, c'è l'intervento di Dio, che, con una sua azione o una sua Parola ("Non temere, ti farò pescatore di uomini") rende l'uomo degno non solo di stare davanti a lui, ma addirittura di svolgere una missione per il Regno di Dio.

4. Non a noi, ma al tuo Nome dà gloria
Il Salmo esprime molto bene il senso della missione, che è fatta da un lato sempre chiedendo l'aiuto di Dio e riportandosi all'esperienza di amore con lui; dall'altro nella piena convinzione di quanto si sta facendo, perché questa è opera del Signore, ed"il Signore farà tutto per me".
Questo equilibrio tra la propria personale indegnità e la forza della propria missione, perché essa è di Dio, ed è lui ad avere reso degno l'annunciatore, a noi può apparire contrastante.
San Paolo, nella seconda lettura, ce ne parla con grandissima profondità e, al tempo stesso, con la più lucida semplicità.
Si dice "indegno di essere chiamato Apostolo", ma invita a non discostarsi, in nulla, dall'annuncio che egli ha portato. Parla di sé come un "aborto", ma è ben conscio di quello che è, ora, "per grazia di Dio".
Egli ha faticato più di tutti gli altri, ma subito ci dice che, in realtà, è la grazia ad aver lavorato in lui.
Solo il Signore può dare la grazia di essere umili e, al tempo stesso, sicuri e coraggiosi nell'annuncio: da lui chediamo questo dono.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bellissima l'attualizzazione.
Bellissimo il "cuore grande" di Pietro...